Votiamo 5 SI ai referendum dell’8 e 9 giugno!

La CGIL ha puntato, con coraggio, su questa campagna referendaria.
5 Referendum abrogativi che se accolti, possono migliorare concretamente la condizione dei lavoratori e lavoratrici italiane e straniere che possono diventare italiane, per il bene loro e dell’Italia.
Per arrivare a questa decisione ci è voluto un dibattito profondo e travagliato.
Per la CGIL il referendum è sempre stato uno strumento eccezionale, da maneggiare con molta cura, c’ è sempre il rischio di una comunicazione in sindacalese che non viene recepita dall’insieme dell’elettorato. Inoltre pesa l’esperienza negativa del passato, dal referendum sulla scala mobile a quelli su art. 18 e legge n. 300 (Statuto dei diritti dei lavoratori).
Personalmente, sono convinto della scelta referendaria, perché si tratta di abrogare norme che sono state fatte contro il sindacato e per indebolire il mondo del lavoro dipendente.
Attraverso queste norme si è passati da una fase legislativa di sostegno all’azione contrattuale dei sindacati dei lavoratori, ad una legislazione che inibisce l’azione contrattuale, o la vincola entro limiti assolutamente subalterni all’Impresa.
La inibisce totalmente nei confronti delle controparti istituzionali, tanto è vero che l’ultimo Accordo sottoscritto con Governo e Parti Sociali risale al 23 luglio del 1993.
Si trattava di un “Patto per il lavoro e  la politica di tutti i redditi”.
Era il risultato di una scelta di “Dialogo sociale” e di concertazione, che peraltro, veniva molto criticata, da una sinistra sindacale, in cui mi ritrovavo, che la considerava troppo vincolante a criteri di produttività e di subalternità culturale ed ideologica alla dottrina del contenimento dei salari per contenere il costo del lavoro.
Come se il costo del lavoro fosse determinato solo dal salario e quindi si potesse comprimere soltanto moderando la dinamica salariale, mentre tutti gli altri costi ( energia promozione pubblicitaria, distribuzione ecc) fossero incomprimibili ed in ogni caso, non negoziabili. L’altro motivo di critica era che con quell’accordo il sindacato rinunciava ad un meccanismo automatico di difesa del potere d’acquisto dei salari corrosi dalla dinamica del costo della vita  (inflazione).
Il risultato di questa scelta strategica, è sotto gli occhi di tutti, i salari italiani sono i più bassi d’ Europa e sono i più bassi del G20. Ma a parte questa minima riflessione di merito, il tema è che da quell’accordo sono passati 32 anni, in cui il dialogo sociale o la concertazione, ancorché moderata, sono diventate parole vuote che non hanno più partorito neanche uno straccio di Accordo o Patto. E tutti i provvedimenti legislativi che si sono succeduti dalla legge Bossi-Fini, alla Biagi, alla Fornero, al Jobs act, sono stati atti unilaterali, fatti senza confrontarsi e contro il parere ed il volere del Sindacato.
Ecco la ragione di fondo per la quale la CGIL ha scelto la strada dei referendum.
Primo e secondo SI) La contrattazione prevedeva la reintegra per i licenziamenti illegittimi, ma se tu la abolisci per legge e prevedi soltanto una miseria si risarcimento economico, io non posso fare altro che chiedere l’abrogazione di questa norma .
Terzo SI) La contrattazione prevedeva le causali per il ricorso al lavoro temporaneo, ma se tu liberalizzi i contratti a tempo determinato per legge, io non posso fare altro che chiedere l’abrogazione di questa norma.
Quarto SI) La contrattazione prevedeva la clausula sociale negli appalti e subappalti, ma se tu la cancelli per legge, mettendo a rischio non solo il lavoro, ma la salute, la sicurezza e persino la vita dei lavoratori e lavoratrici, io non posso che chiedere l’abrogazione di questa norma.
Quinto SI) Se la politica discute per anni dello Ius soli, Ius culturae, ius scolae e prende in giro milioni di persone che hanno tutto il diritto di essere italiani perché sono qui da tanti anni lavorano e studiano, pagano le tasse, allora io ti chiedo di abrogare la norma restrittiva e consentire di acquisire la cittadinanza dopo 5 anni, che fra l’ altro non è poco ed è molto di più della media degli altri paesi europei.
Una buona legislazione sul lavoro fornisce regole e procedure necessarie a sviluppare la contrattazione fra le parti in modo che  le parti sindacali possano svolgere pienamente la loro funzione di rappresentanza e tutela, così come previsto dalla nostra Costituzione, ma se tu fai una legge che si appropria di contenuti della contrattazione e quindi togli prerogative contrattuali vuoi colpire il sindacato, vuoi indebolire la sua capacità ed agibilità di contrattazione e di rappresentanza, e vuoi metterlo in posizione di svantaggio nei confronti dei suoi interlocutori e controparti. È un intervento a gamba tesa, una punizione, come se in una gara di atletica facessi partire un concorrente sgradito, più indietro rispetto agli altri. Il paradosso è che quando il sindacato chiede un provvedimento di legge, sulla rappresentanza e la rappresentatività del pluralismo sindacale o sul salario minimo il governo si rifiuta con la motivazione che non vuole ingerire nelle materie della contrattazione, ma poi ingerisce pesantemente ed in modo mirato per imbrigliare l’azione sindacale ed i diritti dei lavoratori. Ecco perché questi referendum sono importanti, ed ecco perché lo strumento referendario va rivalutato come un’ arma utile e non episodica, in una strategia sindacale tesa a riconquistare i diritti che sono stati estorti ed a riconquistare una autorità negoziale.
Voglio essere più chiaro, quando dico che non deve essere episodico il ricorso allo strumento referendario, intendo dire che se ne possono programmare molti altri, distribuiti nel tempo, senza inflazionare, su tante norme palesemente antisindacali, pensiamo alla legge Biagi che ha distrutto ogni forma di governo e tutela del mercato del lavoro e di pari opportunità.
Pensiamo alla Bossi-Fini che oltre ad essere una legge razzista è una legge che da 23 anni inquina il Mercato del lavoro con la norma bluff del contratto a distanza.
Pensiamo alla Fornero che se non può essere sottoposta a referendum nella parte che riguarda la spesa pensionistica e di finanza pubblica, può essere messa a referendum per quanto riguarda l’automatismo che collega l’innalzamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita media.
Pensiamo anche al fisco, dove certo non si può utilizzare il referendum per pagare meno tasse, ma forse si può usare per abrogare le norme sul sostituto d’imposta. Può essere una strada per tornare ad essere ascoltati e considerati un attore contrattuale per le controparti padronali ed anche e soprattutto con i Governi.
Certo è difficile, anche raggiungere il quorum, ma non impossibile e poi ci sono battaglie che si possono vincere soltanto combattendo, se si rinuncia si perde in partenza.

Pietro Soldini

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