In Europa c’è una questione salariale. The Left vota a favore del progetto di Direttiva per salari minimi adeguati

Il 25 novembre scorso, il Parlamento Europeo ha deciso di conferire alla sua Commissione Occupazione e Affari Sociali (EMPL) il mandato di procedere al negoziato informale, il cosiddetto “Trilogo”, con il Consiglio UE e la Commissione Europea, sulla Proposta di Direttiva della Commissione Europea relativa a salari minimi adeguati nell’Unione europea. Il negoziato sarà condotto sulla base dei numerosi emendamenti al testo della Commissione Europea, contenuti nella Relazione adottata dalla Commissione EMPL l’11 novembre 2021.

La Commissione EMPL aveva adottato la Relazione approvando una serie di emendamenti di compromesso al testo del Progetto di Relazione elaborato dal Relatore, il tedesco Dennis Radtke del Gruppo del Partito Popolare Europeo (PPE), e dalla Correlatrice l’olandese Agnes Jongerius del Gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D). Erano stati presentati ben 918 emendamenti al loro Progetto e, dopo una prima discussione in Commissione EMPL, tenutasi il 3 giugno 2021, si era pervenuti a un compromesso tra i Gruppi della maggioranza, i Verdi e la Sinistra, in base al quale i 17 emendamenti concordati sostituivano quelli presentati da questi Gruppi.

A un anno di distanza dall’adozione della Proposta della Commissione, dopo mesi di consultazione delle parti sociali, gli emendamenti ora approvati dal Parlamento Europeo ne rappresentano un indubbio miglioramento. A cominciare dal titolo della Direttiva in cui si dice che i salari minimi in Europa debbono essere “equi” oltre che adeguati. Dal Parlamento esce un testo dal significativo valore politico che potrebbe essere interpretato come un cambio di prospettiva rispetto alla stagione di austerità, se è vero che, nei “considerando”, si riconosce che per “assicurare una tutela garantita dal salario minimo adeguato” è necessario avere una “solida contrattazione a livello settoriale o intersettoriale”. Queste affermazioni esprimono una autocritica visto che l’indebolimento della contrattazione nazionale di categoria è imputabile alla stessa Commissione Europea (oltre che alla Bce e al FMI), la quale negli ultimi 15 anni, nelle Raccomandazioni specifiche agli Stati adottate nell’ambito del Semestre europeo, ha ripetutamente invitato gli Stati stessi a sostenere politiche di decentramento contrattuale, in particolare in materia salariale.

Il fine principale della proposta approvata giovedi scorso riguarda l’assicurazione di una retribuzione adeguata ed equa a tutti i lavoratori dell’UE. La nuova Direttiva non sceglie quale modalità adottare per addivenire a un salario adeguato. Infatti, l’art. 1 del testo approvato dal Parlamento si preoccupa di salvaguardare le attuali situazioni nazionali in cui vigono due differenti modelli di determinazione del salario adeguato, senza obbligare gli Stati a sceglierne uno. Ciascuno Stato può conservare il proprio modello purché se ne migliori il funzionamento al fine di migliorare l’adeguatezza dei salari oggi vigenti nei paesi Ue e si ampli la percentuale di lavoratori coperti da questi salari adeguati.

L’Italia rientra – come noto – fra i sei Stati membri privi di salario minimo fissato per legge. In questo caso, cioè nei casi di salario adeguato contrattuale, la proposta di Direttiva intende imporre agli Stati di adottare misure per aumentare la copertura contrattuale. Infatti, nel caso in cui la copertura risultasse inferiore all’80% (la percentuale è aumentata rispetto al testo originario della Commissione dopo il passaggio in Commissione EMPL), si aggiunge un obbligo di adottare un “piano d’azione” da rendere pubblico e notificare alla Commissione.

L’entusiasmo generale per il voto di giovedi deve essere stemperato alla luce della posizione delle delegazioni scandinave, le quali sin dall’inizio della Plenaria avevano unito le forze trasversalmente per rimettere in discussione il mandato, intravedendo nella proposta di Direttiva una minaccia alla loro “tradizione” di relazioni industriali e un vulnus al loro sistema basato interamente sulla contrattazione. Per questo motivo, i parlamentari scandinavi hanno costituito la parte più consistente di coloro che si sono opposti al testo.

La decisione del Parlamento Europeo è stata adottata a larga maggioranza: 443 voti a favore, 192 contrari e 58 astensioni. Come era prevedibile, i voti, all’interno dei Gruppi, si sono differenziati secondo le nazionalità; Socialisti e Democratici, Verdi e il nostro eurogruppo The Left hanno mantenuto una sostanziale compattezza nel votare a favore (unici voti contrari quelli dei deputati portoghesi del Bloco de Esquerda e del PCP). Il Partito Popolare Eur. si diviso in due tra favorevoli e contrari. I deputati dei Gruppi di destra hanno votato contro o si sono astenuti, eccetto gli italiani che hanno votato a favore.

Il Consiglio UE, nella sua formazione EPSCO (Consiglio Occupazione, Politica Sociale, Salute e Consumatori), ha adottato la sua posizione nella riunione del 6-7 dicembre scorso (vedi la nota al COREPER – Comitato dei Rappresentanti Permanenti dei Governi degli Stati membri). Da gennaio – sotto la presidenza francese – inizierà il negoziato nel “Trilogo”.

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