Un piccolo comitato dalle grandi ragioni

Venerdì 22 Aprile alle 16,00, a Roma, presso l’Arci in via dei Monti di Pietralata si terrà la prima assemblea nazionale di Europa a Sinistra, il comitato che promuove la campagna di adesioni individuali al Partito della Sinistra Europea, alla presenza, tra gli altri, del suo presidente Heinz Bierbaum. L’assemblea seguirà a quella di Transform!Italia, nodo della fondazione di cultura politica associata alla Sinistra Europea, che inizierà alle 14.

Lo svolgimento della 1° assemblea nazionale del comitato Europa a Sinistra offre l’occasione per riordinare alcuni pensieri sul lavoro che stiamo portando avanti ormai da diverso tempo. Il nostro comitato, meditato per alcuni anni ma lanciato solo alcuni mesi fa, è nato per promuovere in Italia una campagna di adesioni individuali al Partito della Sinistra Europea. Per giudicarne l’operato fino a oggi non sarebbe giusto fare un discorso quantitativo: abbiamo iniziato un’avventura politica del tutto inedita, della quale mancano i modelli e che certamente porta con sé una dose non indifferente di complessità e di perplessità, da parte di quanti hanno sempre e solo vissuto la militanza politica come un fatto estremamente territoriale e radicato a livello nazionale.

La transnazionalità è invece un elemento centrale del percorso che abbiamo lanciato e, ogni giorno che passa, caratterizza sempre più la nostra organizzazione. Italia, Germania, Spagna, Regno Unito, ma anche Kazakistan e Argentina: sono questi i luoghi dai quali sono giunte finora le richieste di adesione alla Sinistra Europea attraverso il modulo del comitato. Sebbene, infatti, la maggioranza degli aderenti sia radicata nel nostro Paese, a fianco cresce costantemente il numero delle compagne e dei compagni che aderiscono pur non vivendo in Italia. Si tratta, in primo luogo, di persone che sono emigrate fuori dei nostri confini, alla ricerca di una piena emancipazione personale che la Repubblica – pure costituzionalmente consacrata a questo scopo – non è riuscita a garantirgli. Ma anche di cittadini di altri Paesi che riconoscono la bontà e la necessità di una militanza oltre la nazione, che trovi la propria collocazione nell’alveo della Sinistra Europea.

Il nostro esperimento, nato in un Paese in cui da troppo tempo la sinistra erra tra le rovine di un passato tanto glorioso quanto tragico, ha dunque acquisito una nuova inaspettata responsabilità e sarebbe dunque poco corretto fare una valutazione meramente quantitativa. Dobbiamo invece guardare alla qualità del nostro lavoro e alle sfide che questo cerca di affrontare quotidianamente. Per esempio, siamo posti di fronte alla sfida di essere, nostro malgrado, un’avanguardia. Dobbiamo essere cioè quel che altri finora non hanno creduto possibile e accettare di essere parte di un movimento storico che, sotto lo stesso programma politico e sociale, da sempre unifica e rappresenta una richiesta di emancipazione che trascende i confini nazionali, perché riguarda un’umanità lavoratrice (presente, passata e futura) che non conosce frontiere.

Per parafrasare uno slogan che fu di un’altra, piccola ma a suo modo gloriosa esperienza politica del passato: siamo un piccolo comitato dalle grandi ragioni. Il nostro, sia chiaro, non è un discorso che si scaglia pregiudizialmente contro la nazione, la quale ancora oggi conserva in diversi luoghi del mondo un potenziale maieutico per l’avanzamento delle lotte sociali e per il progresso, ma è piuttosto un discorso a favore di un principio unificante che non richieda l’apposizione di un confine come atto di autodeterminazione e di rivendicazione della sovranità. Abbiamo assunto il compito di sperimentare, noi stessi, un’inedita forma della militanza politica, in cui l’adesione a un programma storico-sociale è preponderante sull’interesse dettato dalla provenienza geografica.

Questa decisione, a ben vedere, ha una forte portata nazionale. Penso che in Europa, infatti, questa sollecitazione non avrebbe che potuto venire in primo luogo da una nazione come la nostra, che è (ri)nata proprio dal rifiuto del nazionalismo e che ha ricostruito la propria indipendenza nazionale su di una vocazione costituzionale “più che nazionale”, espressa nella scelta di individuare il lavoro, espressione dell’universalizzazione della cittadinanza, come fondamento della nuova repubblica democratica. Non solo il lavoro come oggetto dell’agire umano, ma come soggetto del divenire storico: questo è anche il cuore di una proposta di costruzione della sinistra che non è contro, ma oltre la nazione. Senza voler riproporre il passato come un mitico feticcio, non possiamo non scorgere in questa volontà l’eredità di un movimento storico-politico bicentenario, che ha fondato le proprie ragioni sulla comune appartenenza a una classe o a una coalizione di classi, che, con i termini degli economisti odierni, è quella derivante non solo dal posizionamento sulla catena mondiale del valore e dall’estraneità, non solo fisica ma ideologica, alla direzione e al comando su quella catena.

Questa, che è una scelta strategica, ha da alcune settimane un motivo in più, di rilievo tattico. Sto parlando della recente decisione emersa nel Parlamento europeo di dare vita a una modifica sostanziale della legge elettorale in vista del rinnovo del 2024, che dovrebbe vedere per la prima volta la presenza di liste transnazionali composte 28 eurodeputati, dunque prescindenti dalla divisione tra i Paesi europei. Il cammino è ancora lungo e irto di ostacoli, perché l’attuale conformazione dell’Unione Europea implica che decisioni di questo calibro trovino, oltre che il consenso del Parlamento, anche quello del Consiglio e degli Stati membri (che sono custodi delle proprie costituzioni nazionali), ma la strada è comunque tracciata.

È questo il segnale che la nostra battaglia ha un senso e un tempo giusti anche nell’attualità e nel presente, pur collocandosi in coerenza con la storia ultracentenaria del nostro movimento. Non si può dimenticare il monito, che fu proprio dell’Indirizzo del comitato centrale della Lega dei comunisti del 1850: l’impegno di trasformazione non può avere fine “sino a che l’associazione dei proletari, non solo in un paese, ma in tutti i paesi dominanti del mondo, si sia sviluppata al punto che venga meno la concorrenza tra i proletari di questi paesi, e sino che almeno le forze produttive decisive non siano concentrate nelle [loro] mani”.

Per questo motivo, gli ispiratori di quell’Indirizzo, Marx ed Engels, proseguivano scrivendo che il grido di battaglia dei lavoratori deve essere “la rivoluzione in permanenza!”. Il che significa che la trasformazione sociale è fondamentalmente un processo, una sequenza concatenata causalmente di molti e diversi atti, che per giungere al risultato finale ha necessità di una continuità nel pensiero e nell’azione: la perseveranza del nostro piccolo comitato dalle grandi ragioni – contro indugi, dubbi e delusioni – è quindi essenzialmente un atto che si inserisce in quel processo lì. Un atto rivoluzionario che, in questa fase storica in cui il movimento operaio, delle lavoratrici e dei lavoratori sta cercando di radunare le forze per riprendersi da una sconfitta epocale, quella del Novecento, non può che meritare il rispetto di quanti ancora attendono alla finestra che la situazione cambi, ma senza nulla fare.

Un piccolo passo, il nostro, ma certamente nella direzione giusta.

Vi aspettiamo il 22 aprile a Roma!

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