Ue e migranti. A Natale non siamo tutti più buoni

Le immagini dei bambini infreddoliti e impauriti al confine fra Polonia e Biellorussa, dove di notte le temperature scendono a sei gradi sotto zero, sono pugni allo stomaco sul ventre molle dell’Unione europea. I rifugiati sono usati come pedine di un conflitto crescente fra il governo di Minsk è quello di Varsavia. In Polonia, all’interno dei confini dell’Ue, donne, uomini e minori vengono cacciati come selvaggina. Impietositi, alcuni abitanti della zona li aiutano di nascosto, stando bene attenti a non essere scoperti, perché le autorità minacciano il carcere per chi soccorre i migranti. L’Unione europea fa il pesce in barile, così tocca al commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa – consesso che riunisce i vertici dei singoli Stati – chiedere alla Polonia di darci un taglio. La situazione umanitaria al confine con la Bielorussia peggiora ogni giorno che passa, ai migranti il vicino Natale promette solo ulteriori sofferenze. Il potere politico sovranazionale dell’Ue è solo teorico, se non quando c’è da discutere di soldi, vedi le leggi di bilancio dei singoli Stati, che vengono inviate a Bruxelles per l’eventuale via libera ancor prima di essere discusse e approvate dai parlamento sovrani. Non è solo burocrazia, sono due pesi e due misure. Una capacità decisionale, una governance, che si scioglie come neve al sole quando si parla della vita di uomini, donne e bambini che hanno l’unico torto di essere nati al di fuori dei confini della Fortezza Europa. Ai cronisti più attenti appare chiaro che i tempi e i modi per trovare una soluzione alla crisi umanitaria al confine tra Polonia e Bielorussia si decideranno a Mosca. Nell’ultimo mese sono state registrate alcune mosse diplomatiche: prima i tentativi fatti dalla cancelliera tedesca uscente Angela Merkel di aprire un dialogo con il dittatore bielorusso Lukashenko; poi la telefonata del presidente francese Emmanuel Macron a Vladimir Putin per spingere il Cremlino a intervenire su Lukashenko; ancora una seconda telefonata di Mario Draghi allo stesso Putin, dopo la quale il presidente russo è tornato ad accusare la Polonia di violare i diritti dei profughi, e per i “casi di trattamento crudele dei migranti da parte delle guardie di frontiera polacche”. La risposta di Varsavia è stata sconfortante, visto che il governo polacco ha annunciato di prepararsi a chiudere la frontiera con la Bielorussia. Minacce arrivate dal premier Mateusz Morawiecki in persona, al termine di un tour diplomatico che lo ha portato in Lituania, Lettonia ed Estonia. Il blocco riguarderà i veicoli commerciali, e in teoria sarà seguito da altre misure punitive. “La Polonia è faccia a faccia con un nuovo tipo di guerra, nella quale i migranti e l’informazione fuorviante vengono utilizzati come armi”, sostiene Morawiecki. Il destino di migliaia di persone ancora bloccate al confine fra Polonia e Bielorussia, diventa così una mera variabile geopolitica. E non è di consolazione il pannicello caldo rappresentato da artigianali centri di accoglienza. La Commissione Ue si è fatta sentire solo per ribadire che i contatti con Lukashenko si devono limitare a verificare la possibilità di rimpatriare i migranti, senza aprire ad alcun dialogo con il governo di Minsk. Facendo arrabbiare Putin, che ha accusato l’Ue di trascinare la Russia nella crisi migratoria per poterla incolpare di quanto sta accadendo. Soprattutto senza dare risposte a una marchiana negazione dei diritti umani, primo fra tutti quello di chiedere lo status di rifugiato in fuga da guerre e dittature. Non è vero che a Natale siamo tutti più buoni.

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